Regole e convenzioni Asperger

Ecco alcune regole che le persone neuro-tipiche applicano nella vita di tutti i giorni.

Sono convenzioni, ovvero modi di fare e di dire che ormai rientrano nella pratica quotidiana, anche se non rispecchiano necessariamente quello che si prova o che si vorrebbe dire in realtà. Usarle dimostra che si è ben educati e ben disposti nei confronti delle altre persone, e permetterà di essere accettati dai propri pari così come dalle altre persone con cui si ha a che fare quotidianamente (insegnanti, conoscenti, commessi, addetti, ecc.). Ho pensato di stilare un piccolo vademecum dedicato soprattutto agli adolescenti e ai giovani adulti con sindrome di Asperger/autismo ad alto funzionamento (o comunque un disturbo dello spettro autistico o qualsiasi disturbo o problema che alteri la comprensione della comunicazione non verbale) che ancora non hanno ben chiare le regole delle relazioni sociali. Di solito gli adulti Asperger le hanno comprese e assimilate e sanno applicarle senza grossi problemi alla vita di tutti giorni. Ma anche per loro un piccolo ripasso non fa mai male! Ovviamente i neurotipici potrebbero ritenerle banali e scontate…ma non si sa mai.

Quando viene presentato qualcuno
Un tempo era in uso dire “piacere”, inteso come “piacere di conoscerti/conoscerla”, anche se in realtà non si provava alcun piacere. Teoricamente questa convenzione adesso è abolita, nel senso che il “bon-ton” (il moderno galateo, una raccolta di regole di buona educazione) sostiene che non sia più educato dire questa frase fatta e che sia meglio, invece, presentarsi con nome e cognome nelle occasioni formali (ad esempio con professori e persone anziane) mentre si stringe la mano alla persona che ci viene presentata.
Alcune persone continuano nonostante questo a dire “piacere”: non è un problema, se voi invece dite il vostro nome e cognome nessuno si scandalizzerà.

Come comportarsi con le persone che non si conoscono
La buona educazione prevede che si dia del “lei” alle persone, soprattutto adulti, che non si conoscono. Il “lei” prevede che tutti i verbi siano declinati in terza persona, come se ci riferisse a qualcun altro. Quindi ad esempio invece che “Tu pensi che potresti andare a Roma domani?” bisogna chiedere “Lei pensa che potrebbe andare a Roma domani?”. Quando si è giovani (fino ai 25 anni) non si dà del lei ai propri coetanei né alle persone che fanno parte della propria famiglia, anche se anziani (ai propri nonni si può dare del tu). Si dà del lei a chiunque non si conosca che abbia 10 anni in più. Ad esempio, se avete 16 anni, è appropriato dare del lei a chi ne ha 26. Molto probabilmente la persona in questione vi chiederà di dargli del tu (tu hai fatto, tu sei andato, invece di lei ha fatto, lei è andato), ma dovete aspettare che lo faccia prima di usare la seconda persona. Quando si sono superati i 25 anni è educazione dare del lei a tutte le persone di età uguale (a meno che non siano dei “pari”, ovvero delle persone che fanno le stesse cose che fate voi nello stesso ambito: ad esempio studenti, compagni di sport o di gioco, colleghi di lavoro) o maggiore alla propria. Ai più giovani della propria età è possibile continuare a dare del tu. Quando si raggiungono i 30 anni allora è bene dare del lei anche alle persone più giovani che non si conoscono, a partire da quando hanno 25 anni. So che sembra tutto molto complicato, in realtà quello che sto cercando di fare è darvi dei parametri ben precisi anche se le convenzioni sociali non li prevedono. I neurotipici sanno intuitivamente a chi dare del tu o del lei, indipendentemente dall’età dell’interlocutore. Mi rendo conto che per una persona nello spettro autistico questo sia estremamente difficile, quando non impossibile, ed è per questo che cerco di darvi dei dati precisi su cui basarvi.

Come comportarsi durante una conversazione formale
Molto spesso capita che le persone, pur non avendo niente di particolare da dire o un argomento specifico di cui parlare, desiderino parlare comunque: in questo caso si dice “parlare del più e del meno”, nel senso che gli argomenti sono ritenuti di interesse generale: il tempo (metereologicamente parlando), la politica, il lavoro, la crisi finanziaria, la famiglia, la scuola. Può capitare infatti che una persona, anche sconosciuta o appena conosciuta, manifesti il desiderio di scambiare alcune parole con voi, e di solito lo fa iniziando a parlare di uno degli argomenti appena elencati. Ad esempio, riguardando il tempo: “Che caldo che fa oggi, eh? Però le previsioni dicono che da domani cambia e arriva la pioggia”. In questo caso non ci si aspetta che voi rispondiate con una dissertazione riguardante le previsioni metereologiche, bensì che rispondiate con frasi generiche tipo: “Eh sì, fa proprio caldo. Meno male che rinfresca un po’”. Le frasi generiche sono ciò che ci si aspetta in una conversazione non specifica, e purtroppo non tutte possono essere memorizzate in precedenza, ma vanno “improvvisate” in base a ciò che dice l’interlocutore. Un piccolo stratagemma potrebbe essere quello che ho appena fatto: riprendere i concetti già espressi (sì, fa davvero caldo) ed esprimere soddisfazione per quanto previsto (meno male che rinfresca, cosa che si deduce dal fatto che arriva la pioggia). Con un po’ di pratica con un amico neuro-tipico che conosce i vostri problemi, dovreste essere in grado di imparare a gestire ogni conversazione non finalizzata, indipendentemente dall’argomento. Ci sono però delle frasi precise che la gente si aspetta in determinate situazioni. Quando ci si incontra con qualcuno che si conosce dopo un po’ di tempo che non lo si vede, è d’uso una formula di saluto che di solito è: “Ciao! Come stai?”. Di solito si risponde “Bene, e tu?”, anche se in realtà non si sta molto bene e non ci interessa sapere come sta l’altro. Se si è in confidenza con la persona, ovvero se la si conosce molto bene e ci sta a cuore, non c’è niente di male a raccontarle la propria effettiva condizione di salute (ad esempio “Non sono stato bene ultimamente ma era solo un po’ d’influenza e ora mi sto riprendendo anche se mi sento ancora un po’ debole”), ma non è il caso di entrare nei dettagli, a meno che non vengano richiesti dall’altra persona (che ad esempio potrebbe chiedere: “A quanto avevi la febbre?”). Lo stesso discorso vale se è l’altra persona ad avere problemi di salute. Quando poi l’interlocutore ha dei bambini, soprattutto se è la mamma, ricordatevi che tenderà a parlare dei propri figli, soprattutto per quanto riguarda la loro salute. È buona norma chiedere sempre “Come stanno i bimbi?” e prepararsi ad ascoltare storie anche abbastanza noiose (a cui dovete però mostrarvi interessati) su tutto ciò che li riguarda. I genitori generalmente mettono i figli al centro del proprio mondo, e ne parlano molto volentieri. Di solito però lo fanno con altri genitori, perché sanno di essere perfettamente compresi da loro, quindi se non avete figli siete abbastanza “al sicuro”! A volte capita di ritrovarsi “invischiati” in una conversazione decisamente poco interessante, soprattutto con persone anziane. Alcune di loro hanno la tendenza a lamentarsi delle proprie condizioni di salute, scendendo in dettagli non solo poco degni di attenzione ma anche abbastanza sgradevoli. Altri amano parlare a lungo della propria famiglia o del proprio passato. In questi casi la buona educazione richiede di ascoltare in silenzio, facendo magari qualche domanda per dimostrare interesse (del tipo “Quando è successo?” nel caso che si parli di un avvenimento oppure “E cosa ha detto il medico?” quando invece si tratta di un problema di salute), oppure di fare affermazioni di conferma (ad esempio: “Dev’essere stata proprio una brutta situazione” o “Dev’essere stato davvero doloroso”) senza dare segni di insofferenza o noia. Lo so, è difficile per tutti, e per le persone nello spettro autistico ancora di più. Ma è questo che è richiesto per essere accettati socialmente! Le situazioni più “a rischio” sono quando si fa visita ad anziani parenti (ad esempio i nonni, se hanno superato i 70 anni) e soprattutto nella sala d’aspetto del medico di base. Questo è un ambiente particolarmente “attraente” per le persone anziane, che a quanto pare non hanno di meglio da fare che mettere a parte tutti i presenti dei loro problemi. A volte ho l’impressione che la gente faccia a gara per vedere chi sta o è stato peggio! La trovo una situazione decisamente poco sopportabile, ed è uno dei motivi per cui se posso evitare di andare dal medico, lo evito. Spesso invece non se ne può fare a meno, e allora l’unica è… sopportare, appunto. Ricordatevi che non tutti condividono o vostri interessi, quindi lanciarsi in dettagliate descrizioni di ciò che piace a voi potrebbe causare noia nel vostro interlocutore e il desiderio di concludere la conversazione. Parlate in dettaglio di qualcosa solo se apertamente invitati a farlo. Quali che siano le cose di cui si parla in una conversazione, è importante ricordare anche il rispetto degli spazi personali. Molte persone non apprezzano l’invasione del proprio spazio, quindi è bene tenersi sempre almeno a 40 centimetri di distanza quando si parla con qualcuno che non si conosce bene. Questa distanza può essere diminuita se la relazione con la persona è molto intima soprattutto se si tratta del/della partner. In questo caso la distanza può variare a seconda della situazione: se ci si stanno scambiando effusioni si starà a contatto, altrimenti si può conversare stando a 30 o anche 20 centimetri di distanza. Al vostro partner potete tranquillamente chiedere qual è la distanza che preferisce, in modo da adattarvi alle sue esigenze. Ricordate anche di non toccare le persone con cui state parlando, oltre l’iniziale stretta di mano, sempre se non siete in particolare confidenza con loro. Un occasionale contatto va bene con le persone con cui siete maggiormente in confidenza, ma anche con gli altri: ad esempio se dovete richiamare l’attenzione della persona verso qualcosa un leggero tocco sul braccio non crea problemi, di solito. Il discorso della distanza vale anche e soprattutto se siete in fila, ad esempio per pagare qualcosa alla cassa di un negozio o di un bar. Evitate il contatto con la persona che vi sta davanti e con quella dietro a voi. Lo stesso vale sui mezzi pubblici, sebbene in alcune situazioni (come il sovraffollamento) il contatto sia inevitabile. Ricordate sempre che generalmente un contatto non desiderato con il corpo di qualcuno viene interpretato come un approccio sessuale, anche se l’altra persona non vi interessa, e ciò potrebbe dare luogo a spiacevoli malintesi. In pubblico, così come in privato, del resto, non è mai il caso di alzare la voce. Se volete attirare l’attenzione di qualcuno dovete avvicinarvi e dire “Scusa” anche se in realtà non avete intenzione di scusarvi per nulla. È solo un’altra convenzione sociale. Se la persona è impegnata in una conversazione, attendete che abbia finito o comunque che vi sia una pausa: non va bene interrompere chi sta parlando, a meno che non vi sia un’emergenza (qualcuno che si è fatto male, ad esempio). Quando si entra in un negozio o in casa d’altri, è sempre buona norma salutare. Si dice “Buongiorno” fino a mezzogiorno e “Buonasera” da mezzogiorno in poi. “Buonanotte” si usa solo quando ci si congeda, di sera. Se invece è giorno basta dire “Arrivederci” alle persone a cui si dà del lei o “Ciao” a quelle a cui si dà del tu (vedi sopra). “Ciao” è un saluto che si usa sia quando ci si incontra che quando ci si congeda, sempre con le persone a cui si dà del tu.

Come comportarsi quando si viene invitati a pranzo o cena
Per prima cosa bisogna ringraziare la persona che ci ha invitato, e informarsi su data, ora e luogo in cui bisogna presentarsi. È molto meglio specificare subito se c’è qualcosa che non si vuole mangiare, piuttosto che trovarsi in situazioni imbarazzanti in cui ci viene propinato un cibo che si detesta. Sicuramente è molto meglio dire in anticipo a chi ci ha invitato, ad esempio, “Vorrei farti sapere che sono vegetariano/che non mi piace il pesce/ che detesto la pasta al sugo” piuttosto che trovarsi il piatto in questione davanti e respingerlo. Nessuno si offenderà se gli spiegate i vostri gusti in anticipo; potrebbe invece farlo se dichiarate che il cibo che vi sta offrendo non è di vostro gradimento. Quando si è invitati a mangiare a casa di qualcuno, è sempre buona norma presentarsi con un piccolo omaggio. Di solito una bottiglia di vino, ma non c’è niente di male ad accordarsi in precedenza su un dolce o un gelato da portare. Se non si vuole portare del cibo o delle bevande, magari si può comprare un mazzo di fiori per la padrona di casa (non importa spendere più di 10-15 euro). Quando si entra in casa di persone con cui non si è molto in confidenza, oltre a salutare come abbiamo visto prima, è considerata una cosa educata dire “Permesso?” anche se di fatto si è già entrati. Altra norma sociale non molto logica, ma necessaria se si vuol apparire ben educati. A tavola ci si siede quando si è espressamente invitati a farlo (quindi non è che si entra e ci si siede direttamente, anche se si è molto affamati) e non è bello chiedere “Quando si mangia?”. Quando viene servito il cibo, bisogna aspettare che tutti siano serviti per iniziare a mangiare. Un tempo si diceva “Buon appetito” prima di mangiare, adesso, sempre per il bon-ton moderno, non è più necessario. Ciò nonostante c’è chi ancora lo dice, e in questo caso si risponde “Buon appetito” o “Grazie”. Quando qualcuno vuol fare un brindisi bisogna partecipare: si alzano i bicchieri, la persona che ha proposto il brindisi pronuncia il suo augurio (generalmente inizia con “a”, tipo “a noi” o “alla nostra” o “ai padroni di casa”, con qualche variante) e gli altri lo ripetono, toccando lievemente i bordi dei bicchieri di tutti gli altri con il proprio. Quando si finisce di mangiare si aspetta che anche gli altri si alzino prima di lasciare il proprio posto. Di solito dopo mangiato ci si siede da qualche altra parte (in salotto o dovunque ci siano delle sedie o delle poltrone) per parlare. Quando ci si congeda si ringrazia per l’invito, si loda il cibo, ad esempio dicendo “era tutto molto buono” (anche se non ci è piaciuto: cosa che non è appropriata far notare) e si saluta come abbiamo visto prima. Non c’è un orario preciso in cui andare via: è buona norma non trattenersi oltre la mezzanotte, a meno che i padroni di casa non invitino apertamente a restare. Fare attenzione ai vari segnali verbali e non che indicano che per il padrone di casa è arrivata l’ora in cui desidera che gli ospiti se ne vadano, cosa che nessuno, per educazione, dice. Se chiedete apertamente “Vuoi che me ne vada?” è abbastanza scontato che vi venga risposto di no, anche se la persona in realtà lo desidera. Di solito chi vi ha invitato, per farvi capire che è ora di congedarsi, dice qualcosa come “Domani devo alzarmi presto” se è sera o “Oggi devo proprio fare molte cose” se l’invito era per pranzo.

Cose da non dire MAI
Vi sono alcune cose che per quanto assolutamente vere, non vanno mai dette. Non bisogna mai parlare dei difetti fisici dell’interlocutore, ad esempio. Non bisogna nemmeno accennare al fatto che è grasso, brutto, vecchio o comunque di aspetto spiacevole. Lo stesso vale per il suo/la sua partner o i suoi bambini. Quando una donna appare in stato di gravidanza, a meno che non si sia assolutamente certi che lo sia davvero, non bisogna mai chiedere qualcosa al riguardo, ad esempio quando nascerà il bambino. Potrebbe essere solo sovrappeso e rimanerci molto male. Io ho passato un periodo della mia vita in sovrappeso, e mi è successo ben due volte che qualcuno mi chiedesse se ero incinta. Ed erano persone neuro-tipiche! Vi assicuro che è una cosa sgradevolissima da sentirsi dire. Per i ragazzi, ricordatevi: quando una ragazza vi chiede: “Ti sembro ingrassata?” la risposta deve essere sempre e comunque NO, e a “Mi sta bene questo vestito/costume/indumento?” deve essere invariabilmente SI’!!!! E dovreste imparare anche a fare la corrispondente faccia (si chiama “finzione sociale”, ne riparleremo). Non preoccupatevi, ci sarà una sezione anche dedicata al linguaggio non verbale corredata con foto e video. E’ importante anche non fare domande troppo personali, nemmeno se conosciamo bene la persona. Tutto ciò che riguarda la sessualità e comunque la sfera delle relazioni intime tra persone va evitato, a meno che non sia l’interlocutore a iniziare l’argomento e a mettervi a parte della sua intimità. Se una persona di oltre 40 anni non ha avuto figli, mai chiedere il perché. Potrebbe esserci una dolorosa storia di infertilità o problemi di salute dietro, così come una relazione di coppia che non ha funzionato. A persone separate o divorziate o single non chiedere la causa della rottura o della mancanza della relazione, sempre a meno che non siano loro a introdurre l’argomento e a manifestare la volontà di parlarne.

Come comportarsi quando si riceve un regalo
Vi sono molte occasioni in cui si può ricevere un regalo: compleanni, Natale, occasioni speciali (soprattutto religiose: Prima Comunione, Cresima, ma anche in occasione di una promozione, un diploma o una laurea), e anche senza particolare motivo: una persona tiene a voi e vuole dimostrarlo anche facendovi un regalo. Lo stesso vale per gli altri: le persone si aspettano di ricevere qualcosa in occasione delle suddette ricorrenze. Quando si riceve un regalo, sempre e comunque bisogna ringraziare chi lo ha fatto, indipendentemente dal valore dell’oggetto e dal fatto che ci piaccia o meno. Tratteremo in un’altra sezione i vari detti, proverbi e modi di dire, di cui la lingua italiana è ricca, ma intanto eccovene uno relativo ai regali: “A caval donato non si guarda in bocca”. Quando ero piccola credevo che “Donato” fosse il nome del cavallo, e non capivo perché non si poteva guardare dentro la sua bocca! La spiegazione è questa: un tempo i cavalli erano il principale mezzo di trasporto, e per giudicare il loro stato di salute, quindi la loro “efficienza” si controllavano i denti: se erano sani significava che il cavallo era “buono”. Però se un cavallo veniva regalato, donato a qualcuno, questa persona non doveva controllare lo stato dei suoi denti: non doveva guardargli in bocca. Il motivo è sempre lo stesso: la buona educazione! Se ti regalano un cavallo, lo prendi e ringrazi, senza controllare se sia buono o meno. Adesso la cosa si applica ai regali: se ti regalano qualcosa, anche se non ti piace o non ti serve, la prendi e ringrazi! Solo in alcuni casi è ammesso il cambio del regalo: ad esempio un indumento troppo grande o troppo piccolo. Generalmente i negozi permettono il cambio degli indumenti, a patto che siano stati indossati solo ed esclusivamente a scopo di provarli, anche se chi li cambia non è la stessa persona che li ha comprati. Basta esibire lo scontrino, anche se di solito chi fa un regalo non lo include nella confezione: non bisogna far sapere il prezzo dell’oggetto acquistato alla persona che lo riceve. Motivo: convenzione sociale. In caso di indumenti si provano subito e se non ci stanno la persona che li ha comprati non dovrebbe avere problemi a consegnarci lo scontrino allo scopo di riportarli allo stesso negozio dove li ha comprati per prendere una taglia in più o in meno. Un altro caso particolare sono i libri: se il libro che vi hanno appena regalato l’avete già letto potete dirlo alla persona che ve l’ha dato solo se ci siete in confidenza: è un amico intimo o un parente molto vicino, che generalmente non se ne avrà a male se chiedete di cambiarlo. Se è un amico di famiglia, una persona anziana o qualcuno che conoscete poco, lasciate perdere: ringraziate, sorridete e fingete di gradire. Questo vale sempre con tutto il resto: che vi piaccia o no il regalo ringraziate, sorridete e fingete di gradire! Parleremo anche della “finzione sociale”, di cui abbiamo già accennato precedentemente, e sul suo uso in generale, ma per adesso ricordatevi questo.

Come comportarsi quando a qualcuno capita un “lieto evento” o un lutto
Per lieto evento intendo la nascita di un bambino, il conseguimento di un titolo di studio come diploma o laurea, la vincita di una gara sportiva, un matrimonio, ecc. In questi casi è sempre buna norma congratularsi con la persona a cui è capitato, indipendentemente se a noi faccia piacere o meno. Partecipare alla gioia delle persone a noi vicine è sempre segno non solo di educazione, ma anche di amicizia. Una volta si diceva, appunto “Congratulazioni”, anche se adesso è un termine un po’ desueto, e può essere sostituito con “Complimenti!”. Si può dire anche “Auguri”, anche se in questo caso, come implica la parola stessa, si fa un augurio per il futuro, più che congratularsi per il presente. Se la persona fa parte della nostra cerchia di amicizie, è bene anche fare un regalo. Il matrimonio è la cosa più semplice di tutte: di solito c’è una lista di cose desiderate dagli sposi, che ci faranno sapere dove trovarla (presso un certo negozio, ma ultimamente anche online): si sceglie il regalo che ci piace di più o, più praticamente, quello che costa la cifra che abbiamo deciso di spendere, si compra e si porta o spedisce. Per le altre occasioni dipende: in caso di nascita va benissimo qualsiasi cosa adatta ai neonati (vestitini, pigiami, sonaglini, giocattoli in gomma, ecc.) e anche in questo caso spesso c’è la possibilità di consultare una “lista di nascita” da cui scegliere. Per la laurea di solito si fanno regali “collettivi”, per cui versare una quota, ma di solito basta un pensiero anche semplice (un libro ad esempio). Il lutto è un momento molto delicato: di solito si fanno le condoglianze, usando proprio questa parola, alla persona che conosciamo che ha perso un membro della propria famiglia. Anche in questo caso, se non si vuole usare un termine un po’ “antico”, basta dire “Sono molto dispiaciuto per la tua perdita”. Anche, ribadisco, se in realtà non ci dispiace perché magari la persona che è morta la conoscevamo appena o addirittura per niente. Bisogna tentare di mettersi nei panni di chi è rimasto e immaginare cosa proveremmo noi se subissimo la stessa perdita. Doloroso, vero? Per questo dobbiamo dimostrare la nostra comprensione ai nostri amici a cui è successo davvero. E’ buona norma anche partecipare al funerale, anche se non siamo credenti o comunque non ci interessano le funzioni religiose: è solo per farci vedere e far capire a chi ha subito il lutto che noi ci siamo. Magari in quel momento non gli interesserà più di tanto ma poi, ve lo garantisco, quando sarà più sereno se lo ricorderà che noi eravamo presenti e ce ne sarà grato.

Tratto da Pianeta Asperger (autrice Chiara Guarascio)

1 Comment

  1. Christopher Bazner

    19/12/2019 at 15:15

    articolo perfetto grazie

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