Di libri e nuove uscite

Ci sono corsi e ricorsi storici, nella scrittura.

Luoghi e personaggi lontani, che ritornano o si riaffacciano in vecchi post e ti vengono richiesti a gran voce dai lettori.

Ormai ho “qualche” pubblicazione al mio attivo – più di una, sicuramente, ha fatto breccia nel cuore di chi mi ha letto – e le soddisfazioni più grandi di cui ho beneficiato, nella mia sia pur breve carriera di “costruttrice di storie”, sono proprio legate al consenso di chi ha centellinato i miei vaneggiamenti fantasiosi e si è addormentato (o addormentata) ripensando agli avvenimenti da me raccontati, magari sognando dei personaggi da me descritti. Le gratificazioni migliori sono quelle arrivate da coloro che hanno avuto il piacere di ascoltarmi dal vivo, negli eventi, o piuttosto dal passaparola di coloro che mi hanno acquistato a sorpresa – fidandosi a scatola chiusa, magari attirati dalla bella confezione del libro o fiduciosi del consiglio di qualche libraio solerte – e poi sono restati al mio fianco, lasciandomi il loro fiato sul collo e i miei sogni nel loro cuore.

Eccomi qui, allora, a rieditare una bella storia, scritta nel 2015.

Ne sono passate di parole tra le dita, da allora; sono trascorsi pensieri e riflessioni, e sono subentrati nuovi personaggi, che mi hanno portato mano a mano in un periodo particolare della mia vita, introspettivo ed estremamente costruttivo. Mi sono cimentata in nuove storie, che mi hanno accompagnato nel loro esercizio di scrittura e l’esercizio, si sa, migliora sempre le prestazioni. Ottimizza le forme espressive.

Rileggo quindi di Silvia e Pier e della loro strana storia d’amore, con una ulteriore divagazione in premessa, che è necessaria e funzionale alla riedizione del romanzo che leggerete.

Io scrivo di autismo.
Non ne scrivo in forma autobiografica o diaristica. Chi mi segue e legge i miei libri – ma anche i miei post sui social network o sul mio sito – sa bene che parlare di questo argomento è divenuta la mia missione nel mondo: spiegare con parole semplici e dirette quello che ho vissuto – e vivo – sulla mia pelle; quello che comporta vivere e gestire la quotidianità di chi si ritrova nella condizione autistica, o ci ritrova il proprio figlio, o un nipote o un compagno o un genitore. L’autismo impatta fortemente per familiarità, e le evidenze sono sotto gli occhi di tutti, specie di chi legge e vuole informarsi, per capire o capirsi. Com’è accaduto a me. Di autismo ho scritto in Rinascerò pesce e C’è modo e modo; in Enrico fatto di vento, ne La dodicesima stanza e in Una storia imperfetta.

Io scrivo di tempo.
Perché il tempo è una variabile incognita, seppur oggettivamente misurabile, soprattutto quando ci si ritrova nella condizione autistica, che rende ingestibile persino la quotidianità. Perché il tempo è tiranno: ne vorremmo sempre di più a disposizione; per amare o per odiare; per vivere, per leggere, per fare quello che più ci piace o per stare con chi ci fa stare bene. Perché il tempo non si può domare o circoscrivere o riportare indietro nel passato o proiettare in avanti, in un futuro prossimo venturo che non ci è dato di sapere con certezza a cosa ci porterà e quando e se lo farà. Di tempo ho scritto chiaramente in Lasciami sognare ma anche in La dodicesima stanza e in Una storia imperfetta.

Io scrivo di amore.
L’amore è imprescindibile, in tutte le mie storie. L’amore è il motore che muove tutto. È vita. È passione. Persino nelle brutte storie c’è un fondamento d’amore, seppur malato. L’amore fa sorridere. Fa superare ostacoli inenarrabili oppure frappone distanze incredibili per il solo gusto di creare speranze. Generare futuro. L’amore taglia di netto – trasversalmente – tutti, ma proprio tutti indistintamente, i romanzi di cui sopra.

Autismo. Tempo. Amore.
Queste sono le premesse, queste le variabili fondamentali e fondanti delle mie storie, che riscopro evidenti anche in questo romanzo, scritto in tempi non sospetti, quando non avevo ancora consapevolezza del mio essere Asperger. Contezza di ritrovarmi in una condizione sicuramente problematica ma estremamente variegata, che mi appartiene in positivo e in negativo.

Rileggendo La casa della domenica, ritrovo autismo nel personaggio di Silvia, che ho volutamente dipinto a mia immagine e somiglianza. Lei è proprio come me: ipersensibile e ipercritica, maniacale negli approfondimenti e schietta, centrata sui suoi interessi speciali. Non voglio però anticipare altro su questo personaggio.

Rivisitando La casa della domenica ritrovo il tempo in tutte le sue accezioni, a partire dalla città in cui è ambientato, Milano, che è una delle realtà più dinamiche del nostro secolo, fino ad arrivare al “disequilibrio” anagrafico tra i due protagonisti principali che, lo ammetto, è stata la finzione più funzionale della storia stessa.

Infine, all’ultimo ma non per ultimo, compare l’amore, in tutte le sue declinazioni. È amore coniugale, amore per i figli, per il proprio lavoro, per la città in cui si vive e per le passioni, ufficiali o ufficiose che siano, che sono il carburante propulsivo della vita. Perché l’amore stesso è vita.

Buona lettura quindi, o rilettura, per chi abbia già letto lo stesso romanzo nella sua prima edizione: sono certa che l’esercizio di stile e la consapevolezza maturata faranno la differenza, per il tempo che passerete in mia compagnia.

Teresa Antonacci